– di Gianluca Montinaro

Ci hanno raccontato negli ultimi anni, con imbarazzante insistenza, che l’unica cucina buona, contemporanea e rock’n’roll fosse quella fatta di spunti acidi e spinte amare, di spugnette e sferificazioni, di fermentazioni e cialde, in un delirio di post modernismo distruttivo che, nel nichilistico rifiuto di ogni riferimento e nella vacua reiterazione di mode e modi, di ingredienti e di tecniche, ha in sostanza equiparato ciò che è buono con ciò che, oggettivamente, non lo è: perché senza gusto, senza personalità, senza prospettive.

Ma è davvero così? Davvero si può sacrificare una lunga tradizione, come è quella italiana, sull’altare di avanguardie nullificanti e senza storia? La risposta non può che essere univoca: no. E questa convinta risposta non può che venire ulteriormente rafforzata nel momento in cui si varca la soglia di un locale, in via Montecuccoli 6, a Milano. Sì, proprio a Milano: la locomotiva d’Italia. La capitale economica della nazione. La città che più di tante altre è stata capace di aprirsi al mondo. Ebbene, in via Raimondo Montecuccoli, c’è un’insegna, una storica insegna, fondata nel 1962, che racconta una storia differente. Di alta cucina sì ma pure di prodotto. Pure di gusto. Pure di tradizione. Ovvio che si stia parlando di Aimo e Nadia: quella trattoria toscana che i due fondatori aprirono da giovani, arrivando dal Pistoiese, e che ora è, e continua rimanere, uno dei ristoranti più belli del nostro Paese. Aimo (che ha appena compiuto novant’anni, auguri!) e Nadia non sono più ai fornelli: si godono il giusto e meritato riposo. E il ristorante, da anni ormai, ha assunto il nome di «Luogo», intendendo con ciò che qui, proprio qui, fra queste mura, in questa cucina, hanno abitato e hanno lavorato due personaggi che tanto, tantissimo hanno dato alla storia della nostra alta gastronomia.

Ma la Storia – ben lo sanno gli storici… – è Storia proprio perché non finisce, ma continua. E anche questa storia (con la ‘s’ minuscola, ma pur sempre grande) prosegue, e anzi cresce, nelle mani salde di Alessandro Negrini e Fabio Pisani. Due vicende, due provenienze (l’uno del Nord, l’altro del Sud): ma un comune sentire e una comune visione. Raccontare, come hanno fatto i loro maestri e predecessori, la monumentalità della cucina regionale italiana: dei suoi prodotti, delle sue ricette, della sua tradizione. «Abbiamo sempre fatto così, e continueremo a fare così: perché noi siamo questo», dice con orgoglio Alessandro Negrini, consapevole – lui che fa il cuoco, e io che faccio lo storico – che «ciò che era tornerà». E che «tradirsi per inseguire ciò che non è nelle nostre corde, che non facciamo e che non intendiamo fare, non ha senso». Immobilismo? No, semplicemente coerenza! «Andiamo avanti sulla nostra strada, e saremo qui quando, prima o poi» – ma, considerata la brutta piega che sta prendendo certa vacua ristorazione ‘fain daining’, immagino sarà più prima, molto prima – «si riprenderà a parlare per davvero e con competenza dell’importanza della materia prima, della stagionalità, della coerenza degli elementi dentro un piatto, del gusto». Ricorda il calviniano Marcovaldo ovvero Le stagioni in città (raccolta di novelle che uscì l’anno successivo all’apertura di Aimo e Nadia) Negrini, e lo fa con la sicurezza di chi sa che città e campagna sono in fondo accomunati dai medesimi ritmi: da uno scorrere del tempo che è uguale nell’un luogo e nell’altro. Sono piuttosto gli uomini che hanno il potere (o la debolezza) di renderli differenti: di rimanerne fagocitati o di goderne la dissomiglianza.

Ecco che, seduti a uno dei tavoli del Luogo, ci si può per l’appunto rallegrare di ciò che è ‘differente’, in un viaggio che tocca la stagione e i «Territori» (questi i riferimenti dei due menu, proposti rispettivamente a 250 e 280 euro): la Valtellina e la Puglia, il Piemonte e la Calabria, la Liguria e la Sicilia, la Lombardia e la Toscana… in un caleidoscopio di piatti che, raccontando terre e produttori, interpretano in modo magistrale gli ingredienti. E ciò avviene attraverso i loro accostamenti, non attraverso la tecnica che sì – ovvio – è presente, ma non è predominante. I due cuochi dispiegano nelle pietanze non tecniche imparate ‘a pappagallo’, ma il loro ‘sapere’ vero: il loro studio approfondito delle materie prime e le loro conoscenze dei princìpi dell’alta cucina (come nel caso, per esempio, dell’animella di vitello con scamponi di Molfetta, salsa Foyot e salsa Choron, piatto con il quale Fabio Pisani ‘omaggia’ uno dei suoi maestri: Guy Martin, chef del Grand Véfour). Ecco quindi che la cucina del Luogo di Aimo e Nadia è più cerebrale di tante altre: nel senso che è consapevole, pensata, meditata, interiorizzata. Eppoi – come da tradizione del Luogo – nella successione di piatti non si incontrano tutte quelle noiose e trite stucchevolezze della quale si accennava in apertura. Le pietanze bensì sono ampie e rotonde (crostata di castagne e mandorle con topinambur, crema di tuorlo d’uovo e morbido di patate della Sila; piccione di Miroglio nel lavec), sinuose e complesse (ricci di mare dell’Adriatico con tuorlo in negativo e morbido di patate della Sila; risotto Gran Riserva Carnaroli con alloro e Nocciola Tonda Gentile) ma senza forzate ‘sottolineature’. La punta di acido dell’accoppiata «animella e scampo», per esempio, non è acidità tout court, ma è la soave nuance aromatica dell’arancia. Mentre l’alloro – altro esempio – del risotto porta con sé, oltre il suo profumo, anche una nota impercettibile di clorofilla. Sontuosi, complessi e di immensa soddisfazione, sono l’«Omaggio a Milano», ovvero tortelli farciti di ossobuco di Fassona e midollo nel suo ristretto allo zafferano sardo e Parmigiano (una mirabile rivisitazione del risotto giallo con ossbüs) e il piccione cotto nel lavec: presentato intero e quindi sporzionato e accompagnato dal suo sublime consommé con agnoli ai fegatini.

Il piacere però non si ferma qui. Il servizio di sala è di altissimo livello: i ragazzi sono presenti, solleciti e sorridenti quant’altri mai, sotto l’occhio attento di un grande padrone di casa: Nicola Dell’Agnolo, un professionista che ha fatto di discrezione e understatement la propria divisa. La cantina, infine, è seguita dal bravo Alberto Piras ed è ottimamente fornita di blasonate bottiglie, perlopiù italiane e francesi. Evviva!

  • Il Luogo di Aimo e Nadia
  • Via Privata Raimondo Montecuccoli, 6
  • Milano
  • Tel. 02.416886
  • www.aimoenadia.com
  • info@aimoenadia.com
  • Chiuso: domenica; a pranzo
  • Ferie: variabili
«Uovo occhio di bue»: meringa salata, tuorlo d’uovo in negativo e guanciale; canelé di farina di fave con crema di carote e aceto con menta, agrumi e radicchi; tartelletta di mandorle con Gorgonzola di Angelo Croce e barbabietola; melone invernale marinato ai sette pepi; bresaola di codone al carvi (cumino dei prati)
Ricci di mare dell’Adriatico con tuorlo in negativo e morbido di patate della Sila
Dentice del mar Ligure battuto al coltello e marinato al sale di Mothia con croccante di fagioli cannellini e agrumi di Sicilia
Animella di vitello con scamponi di Molfetta, cime di rapa e agrumi, salsa Foyot e salsa Choron
La grattata di tartufo bianco pregiato…
…sulla crostata di castagne e mandorle con topinambur, crema di tuorlo d’uovo e morbido di patate della Sila
Côtes-du-Rhône blanc 2020 di Domaine Jamet
Mascherpa stagionata delle valli del Bitto…
…con la quale si finisce il risotto Gran Riserva Carnaroli con alloro e Nocciola Tonda Gentile
Gevrey-Chambertin La Petite Chapelle premier cru 2018 del Domaine Marchand-Grillot
«Omaggio a Milano»: tortelli farciti di ossobuco di Fassona e midollo nel suo ristretto allo zafferano sardo e Parmigiano
Piccione di Miroglio nel lavec
…petto e coscia…
…con a fianco il suo consommé e agnoli ai fegatini
Arancia sanguinella e mango su sugolo mantovano, sfera al cioccolato bianco con zenzero candito, riduzione di latte, frutto della passione e zafferano
Cartellata barese al mosto cotto di fichi con latte di mandorle di Toritto, marmellata di arance e gelato al cardamomo
Piccola pasticceria