BERNARD PACAUD , CHEF DU RESTAURANT 3 ETOILES L'AMBROISIE PLACE DES VOSGES / PHOTO LE PARISIEN / ARNAUD JOURNOIS
– di Gianluca Montinaro
Se ne è andato con lo stile che sempre lo ha contraddistinto: senza annunci né proclami. Con quella riservatezza e discrezione che lo ha accompagnato per tutta la vita. Al suo ultimo servizio, l’ultima cena del suo ristorante, si è semplicemente sfilato il grembiule da cuoco e, mentre ancora i suoi ospiti stavano terminando dolce e piccola pasticceria, si è allontanato insieme alla moglie, la dolce e sorridente Danièle, per rientrare a casa. Non sarà parso strano a coloro che erano lì non vedere lo chef: Bernard Pacaud non si affacciava mai in sala e solo in occasioni rarissime, giusto per fare un breve cenno di saluto agli amici più stretti, faceva capolino dallo stretto andito che conduce in cucina.

Ma la sera dello scorso venerdì 1 agosto, al suo risaputo riserbo, si sono certo aggiunti l’emozione e la stanchezza, in un groviglio di sentimenti che, nello sguardo basso di lui, negli occhi lucidi di lei, sono apparsi di una umanità disarmante. Dopo sessantatré anni ininterrotti di cucina, dei quali trentasette (1988-2025) coronati dalle Tre Stelle Michelin, Pacaud ha lasciato, per godersi finalmente un po’ di riposo, la sua ‘creatura’: L’Ambroisie, l’insegna più celebre di Parigi, e della Francia tutta.

Una storia, la sua (si legga la biografia scritta su Pacaud da Frédéric Laffon: Une vie par le menu, 2021), che per molti aspetti ricorda quella di alcuni eroi dickensiani. Ha vissuto una infanzia assai difficile: senza un padre e con una madre che, consumata dalle violenze del suo nuovo compagno, presto lo ha abbandonato a se stesso. Ha conosciuto orfanotrofi e residenze protette. Sino a che, a quattordici anni, quando tutto sembrava perduto, ha incontrato sulla propria strada quella che ha sempre considerato la sua vera madre: Eugénie Brazier. Lei, la Mère di tutte le mères della cucina francese. La grande cuoca che, unica nella storia di Francia, ha conquistato contemporaneamente Tre stelle nei suoi due ristoranti: in centro a Lione e sul Col de la Luère. Si affeziona a questo ragazzino introverso e silenzioso: forse nel suo dolore rivede quelle sofferenze e quella cattiveria che anche lei (ragazza madre scacciata dai suoi genitori) aveva dovuto subire, durante i difficili anni delle due guerre. La Mère – così tutti la chiamano – non solo gli insegna i rudimenti del mestiere ma gli passa anche la sua massima di vita: «quando tutto è perduto, è grazie al lavoro che ci si ricostruisce». Dopo il servizio militare Pacaud va a Parigi: qui si impiega in alcuni locali. Ma non si trova bene. Pensa di lasciare i fornelli. Ma ancora una volta giunge in soccorso la Mère che lo indirizza al Vivarois: il raffinato e triplamemte stellato locale di Claude Peyrot. Qui Pacaud trova la sua dimensione: certo, Peyrot è una persona talvolta non facile, dal carattere spigoloso, ma è un grande genio della cucina e un bravo mentore. Lascia sempre più spazio al suo giovane aiutante (che di lui parla come del suo vero padre) il quale, nel frattempo, proprio al Vivarois, incontra Danièle.

Nel 1981, già sposati, i due fanno il ‘grande passo’. Aprono L’Ambroisie, in quai de Tournelle. Un ristorante semplice, nelle loro intenzioni, che però nel giro di dieci mesi conquista la prima Stella, e l’anno successivo la seconda. Nel 1986 si trasferiscono in Place des Vosges dove presto ottengono la terza Stella. Un traguardo confermato anno dopo anno, e sancito da ospiti che giungono da tutte le parti del mondo per gustare i loro piatti, sobbarcandosi liste di prenotazione lunghe mesi e mesi. Il successo, insomma. E il riscatto. Ma Pacaud l’insegnamento della Mère non l’ha mai dimenticato: poche interviste, ancor meno fotografie, e nessuna partecipazione a programmi radiofonici e televisivi. Solo lavoro: quotidiano, e duro. Così, mentre i suoi colleghi moltiplicavano le proprie insegne, abbandonando le giacche bianche da cuoco per vestire i completi scuri dell’imprenditore, lui è sempre rimasto davanti ai suoi fornelli. Portando avanti, giorno dopo giorno, la sua «cucina di civiltà», secondo il motto: «Ricercare il prodotto migliore. Cucinarlo senza leziosismi. Per offrire il meglio, semplicemente».

Sicché coloro che sedevano ai tavoli dell’Ambroisie sapevano che per davvero quel piatto che stavano mangiando l’aveva cucinato Pacaud. Era ‘suo’: frutto del suo pensiero, del suo cuore, delle sue mani. Un privilegio, in quest’era di cuochi poco cuochi, ma più chimici e astronauti, filosofi e anacoreti. ‘L’ultimo dei Mohicani’, leggenda vuole l’avessero soprannominato i suoi colleghi, forse con un pizzico d’invidia. O forse, più semplicemente, per incapacità di intendere in profondità la grandezza di quest’uomo. Ma l’ammirazione c’era, indiscussa, tant’è che lo scorso marzo quando la Michelin gli ha tributato il premio Chef Mentor Award erano tutti lì schierati, in piedi, ad applaudirlo.

Coloro che – presidenti e teste coronate, habitué e avventori saltuari – in questi quarantaquattro anni si sono seduti ai tavoli dell’Ambroisie, un locale sì raffinato come si conviene a una città come Parigi, ma tutt’altro che freddo e anzi pervaso da una magica atmosfera di familiarità, non potranno mai dimenticare piatti – giusto per citarne appena qualcuno – come la sfogliatina di scampi ai grani di sesamo e salsa al curry; le scaloppine di branzino con émincé di carciofi e caviale; la fricassea di astice in salsa civet con purè di pisellini Saint-Germain; il pollo della Bresse arrostito al burro di noci con ravioli al tartufo bianco d’Alba. E quindi quelle pietanze che Pacaud ha dedicato ai suoi due ‘genitori adottivi’: i fondi di carciofo al fegato grasso e tartufo nero («hommage à la Mère Brazier») e il calzone di tartufo fresco «bel humeur» («hommage à Claude Peyrot»). E infine il pasticcio di anatra e foie gras: una ricetta storica che Pacaud ha ricevuto in dono da Peyrot, il quale ha sua volta l’aveva avuta dal suo maestro: il sommo Fernand Point. Tutti piatti che parlano il linguaggio di una assoluta, regale perfezione, eguagliata solamente da un gusto altrettanto assoluto. Perché il piacere regnava a L’Ambroisie. Con la gioia di stare a tavola. E con il divertimento della convivialità. In una dimensione di sussurrata, calma eleganza.

Ecco, dopo la recente scomparsa di Michel Guérard, e dopo il passaggio alle generazioni più giovani delle maison Blanc e Troisgros, non ne restava che uno di maestro: Pacaud. Capace di una cucina rigorosa e sobria, esigente e silenziosa: «mai di moda, ma mai fuori moda». E ora che ha passato la mano (una nuova gestione è subentrata da settembre), nulla sarà più come prima. Non solo al numero 9 di Place des Vosges. Ma nel mondo della gastronomia e dell’alta cucina. Perché adesso siamo tutti un po’ più soli…
















