– di Gianluca Montinaro

Roberto Anselmi, con il suo sorriso cordiale, la sua parlata franca, il suo sguardo diretto, è uomo capace di coinvolgere, suscitando subito tanta umana simpatia. L’entusiasmo che promana è bello e coinvolgente, non solo perché trasmette passione e voglia di vivere ma perché è la dimostrazione di come e di quanto i sogni e le idee possano diventare realtà. Certo, con tanto impegno. Certo, con tanta dedizione. Certo, con un po’ di sacrificio e fatica. E certo anche con un po’ di rischio («ma a me piace rischiare – confida sornione Anselmi – quando vado in macchina, quando vado in elicottero, e persino quando faccio i miei vini»).

E proprio di alcuni di questi vini – i suoi tre bianchi secchi (del sublime rosso, Realda, e del maestoso nettare dolce, I Capitelli, scriveremo in altra occasione) – ci occupiamo oggi, raccontandone l’ultima annata. Ma l’accenno iniziale a Roberto e al suo bel carattere è necessario per comprendere come e quanto l’anima del vitivinicoltore sia presente, ‘in spirito’, nei suoi vini. Che sì nascono sui terreni della Docg Soave Superiore ma che, più che sbandierare una ‘definizione da etichetta’, narrano di una terra. E che più che portare avanti una ‘storia’ (o uno storytelling?) si propongono manifestamente per ciò che sono. Senza falsità né infingimenti. Proprio come il loro creatore.

Che sì, ha rischiato, e pure parecchio. All’inizio della sua carriera, quando ha voluto acquistare vigne di proprietà e fare il proprio vino, invece che seguire le orme padre, che praticava il mestiere di négociant, acquistando uve in giro per l’Italia e imbottigliandole. E poi quando, negli anni Novanta, è uscito dai disciplinari perché non ne condivideva le modifiche, tese a una estensione della zona produttiva in luoghi non adatti alla coltivazione della vite. E ancora, in anni recenti, quando ha iniziato a piantare vitigni resistenti (piwi, ovvero pilzwiderstandfähig, ‘viti resistenti ai funghi’). Un percorso – quello di Anselmi – che ha un’unica stella polare: i buoni vini si fanno in vigna. E per farlo bisogna essere prima di tutto bravi viticoltori. E non si possono avere buoni vini, e di conseguenza non si è bravi viticoltori, se ci si ostina a usare metodi di allevamento che, seppur tipici di queste zone, penalizzano i grappoli, come la pergola e la spalliera. Così come se si ‘inondano’ i filari di trattamenti chimici. Meglio concentrarsi – quindi – a trovare soluzioni alternative e a percorrere strade nuove. Con un po’ di rischio, certo. Ma pure con quell’ardore e quella voglia di far bene che, come detto, sono tratti del suo carattere.

I tre ‘capitelli’ – San Vincenzo 2023; Foscarino 2022 e Croce 2022 – hanno almeno un paio di peculiarità in comune. Sono vini che hanno il ‘passo del maratoneta’ e che sono capaci di evolversi ed esprimersi in tempi anche molto lunghi. Sono altresì vini che, dietro una generosità a tratti ritrosa, a tratti suadente, nascondo nerbo e carattere (dato dai suoli, ove predominano tufo vulcanico e calcare).

San Vincenzo 2023 Vino Bianco (vigneto di trenta ettari in località Capitel San Vincenzo, piantato a guyot e alberello, prodotto in circa 450 mila bottiglie) è un blend, come pure gli altri due ‘capitelli’, di uve locali (fra cui il Garganega), internazionali (fra cui lo Chardonnay) e piwi. Viene pressato sofficemente in atmosfera inerte, fermentato a 16 gradi e affinato in acciaio a bassa temperatura per sei mesi, con batônnage periodici. Fra i tre è il vino che al naso e in bocca risulta di più facile espressività. Gli aromi, che sono intensi e fini, si muovono dalla frutta a polpa gialla (ben riconoscibili sono sia la pesca sia l’albicocca) a sentori agrumati, floreali (ginestra) ed erbacei (timo limonato). Rimanendo nel bicchiere sprigiona poi una seconda olfazione, spostata su tocchi esotici (frutto della passione) e una chiara verticalità. La bocca è abbastanza morbida e calda ma, a colpire, è la mineralità che in centro di bocca si esprime con tocchi salini di bella finezza. Il vino, che è abbastanza ampio e molto equilibrato, chiude con un’ottima pulizia e una lunga percezione gusto-olfattiva nella quale tornano e ritornano sensazioni minerali e di frutta.

Capitel Foscarino 2022 Vino Bianco (prodotto in circa sessantamila bottiglie) è una selezione dei migliori grappoli, vendemmiati a più riprese, pressati sofficemente in atmosfera inerte, fermentati a 16 gradi e affinati prima in acciaio a bassa temperatura per sei mesi, con batônnage settimanali, e poi in vetro. Qui il bouquet del San Vincenzo è ulteriormente enfatizzato e arricchito da numerose note floreali (camomilla, gelsomino, sambuco) ed erbacee (fieno maggengo). Anche in questo caso, lasciando il vino nel bicchiere, si percepiscono in un secondo momento una ricca mineralità e lievi sentori di spezie (zafferano e pepe bianco). La bocca è piena e affilata al contempo. Maggiori sono sia la sensazione calorica sia la morbidezza ma ben in equilibrio con l’acidità e la scia minerale che sottolineano una struttura ampia e di grande bellezza. Il sorso in fondo di bocca chiude con morbidezza e pulizia, esaltando la salinità da un lato e la generosità espressiva dall’altro.

Capitel Croce 2022 Vino Bianco (da un vigneto di cinque ettari, in cima al Monte Zoppega; produzione di circa trentamila bottiglie) è un vino di grande classe e potenza, capace tranquillamente di superare i venti anni di invecchiamento. Frutto anch’esso di una selezione, viene fermentato e poi affinato, per circa cinque mesi, in barrique di rovere francese, con batônnage settimanali. Il naso, che è ampio, fine e persistente, si muove su cinque direttrici: la frutta (pesca dolce, arancia Navel, bergamotto, banana, sentori esotici…); i fiori (ancora la camomilla, l’iris, il gelsomino); le erbe (profumi di macchia battuta dal sole); le spezie (bianche, lievi e non invadenti). E a legare il tutto una verticalità soave e intrigante, che cela e mostra al contempo. È quindi in bocca che Capitel Croce sfodera tutta la sua classe. Il sorso, morbido senza essere eccessivamente caldo, colpisce per la ricchezza di materia e di mineralità (con quest’ultima che non sopravanza né si sovrappone all’acidità), e racconta di un vino di medio corpo, intenso e ampio senza essere ridondante. La struttura è elegante ed equilibrata e tende a una complessa rotondità che sfocia in una persistenza oltremodo lunga e fine. Quest’ultima, senza cedimenti, procede su una scia improntata a pulizia e nettezza, richiamando, quasi come onde di eco, i riconoscimenti dello spettro olfattivo. L’armonia, in chiusura, è perfetta: sferica e gratificante. In sintesi: un grande vino!

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