– di Gianluca Montinaro

È al plurale il nome del paese di Les Riceys, nella regione dell’Aube, e non a caso. Sia perché in effetti ce ne sono tre di Riceys: Bas, Haute e Haute Rive (e tutte e tre insieme compongono la municipalità). Sia perché sempre tre sono le AOC (corrispondenti alle italiche Doc) che qui si possono produrre. Una particolarità unica nel panorama vinicolo francese che pone questa piccola località – all’estremo Sud della Champagne (per intendersi siamo alla stessa ‘altezza’ di Chablis, quindi all’estremo Nord della Borgogna) – come ‘isola felice’ e incontaminata.

A Les Riceys si può comprendere che cosa sia davvero il terroir, concetto che è alla base della vitivinicoltura d’Oltralpe e che in italiano è intraducibile se non con una perifrasi: «l’insieme, magico e assoluto, di topografia, suolo, clima e uomo (inteso tanto come tradizione quanto come eredità)». Queste sono le parole utilizzate da Arnaud Fabre – presidente del Domaine Alexandre Bonnet, che proprio a Les Riceys ha sede – in occasione di un incontro (organizzato da Sarzi Amadè, l’importatore per l’Italia) che si è recentemente tenuto a Milano, per presentare una parte dei vini della maison. Un terroir unico quello di Les Riceys che, nella bottiglia, racconta di novecento anni di storia a cavallo fra Borgogna e Champagne e di una preservata biodiversità che pochi eguali ha in Francia. Soprattutto se paragonata con la Montagna di Reims e la Valle della Marna, la parte Sud dell’Aube presenta pendenze accentuate, boschi e torrenti che disegnano un’immagine quasi oleografica di una campagna selvaggia e primordiale. E il Domaine Alexandre Bonnet, consapevole della ricchezza di queste terre, si sta impegnando tantissimo nella salvaguardia dell’ecosistema: praticando una agricoltura rispettosa, secondo i dettami del biologico, impiegando i cavalli per arare la terra e addirittura piantando alberi da frutta nel cuore dei vigneti per permettere a uccelli e insetti di sostare e ripararsi.

Un’ulteriore particolarità degli 844 ettari di vigne di Les Riceys si rinviene nel suolo che è di natura argilloso-calcareo, alla stregua di quello dei Gran Cru di Chablis, con una particolare presenza di rocce calcaree di epoca kimmeridgiana che donano ai vini una struttura e una nota minerale che – secondo Arnaud Fabre – li fanno, per certi versi, «assomigliare ai Borgogna». Ma che sia così è naturale: Les Riceys è difatti stata in bilico fra le due regioni per secoli – e di volta in volta, a seconda dell’annata, il vino qui veniva venduto o come Champagne o come Borgogna – sino a quando, nel 1927, il comune venne definitivamente inserito nella prima denominazione.

Domina il Pinot Nero fra queste strette vallette ben battute dal sole, in un mosaico di esposizioni e altitudini che donano a questo vitigno così tanto carattere da poter esprimersi sia nella classica bollicina champagnotta, sia nella versione Coteaux Champenois (quindi fermo, vinificato in rosso o in bianco) sia nella particolarissima versione Rosé des Riceys (fermo, e con un colore che tende più al rosso che al pallido rosa dei vini provenzali).

Il Domaine Alexandre Bonnet (nato nel 1934 e che lavora solo uve provenienti da vigneti di proprietà – qui denominati non cru ma contrée – che si estendono su cinquanta ettari) propone tutte e tre le AOC, ben riuscendo a declinarne spirito e caratteristiche. La degustazione si è aperta con lo Champagne Rosé d’Assemblage che ha la particolarità di essere in effetti un Blanc de Noirs: il Pinot Nero è vinificato in bianco (in acciaio) e a questo viene aggiunto un 6% circa di Pinot Nero en rouge. Fa quindi tre anni sui lieviti, e viene sboccato con un dosaggio bassissimo. Il naso è fresco e soave, giocato su espressioni fruttate (fragolina, agrume…) e floreali (iris, zagara, rosa…) più che minerali e fragranti. In bocca ha corpo gradevole e bella generosità ma rimane comunque fine e fresco, ben equilibrato e teso, e con un finale piacevolmente pulito e lungo.

Assai più strutturato appare il Blanc de Noirs (l’annata di base è la 2019; il dosaggio è 5 g/l), nato dall’assemblaggio di diversi cloni di Pinot Nero provenienti da diverse vigne, scelti in base a esposizione e terreno. La sensazione è quella di trovarsi davanti a un vino ‘femminile’: «è difatti – sottolinea Fabre – un Blanc de Noirs che piace a chi ama i Blanc de Blancs». La ragione è semplice: non si dimentichi che qui il suolo è quello di Chablis, regno incontrastato di grandi Chardonnay, minerali e affilati. Il naso è imponente: frutta a polpa bianca e gialla (la pesca bianca è ben percepibile, così come il lampone e gli agrumi dolci), fiori, lievi tocchi speziati, uniti a una bella verticalità e note fragranti. La bocca è ampia assai generosa: la struttura è solida ma il vino sfugge quelle sensazioni vinose che di solito caratterizzano i Blanc de Noirs della Montagna di Reims, a favore invece di una beva salina e fresca che gioca più sull’allungo che sull’ampiezza. Più sulla scia minerale che sulla spalla dell’estrazione. C’è poi una notevole sensazione di equilibrio complessivo, di armonia e di finezza che invogliano subito al sorso successivo.

Il terzo Champagne è quasi un unicum. È un millesimato: 2019. Proviene da una singola vigna (contrée): La Géande. È un assemblaggio di tutti e sette i vitigni storici della Champagne: Pinot Nero; Pinot Meunier; Chardonnay; Arbane; Blanc Vrai (clone di Pinot Bianco); Pinot Grigio; Petit Meslier, raccolti e vinificati in modo separato. 7 Cépages (questo il nome dell’etichetta) fa quindi tre anni sui lieviti e non viene dosato al momento della sboccatura, per preservare la sua purezza d’espressione. Il bouquet appare complesso, persistente e fine, con numerosi richiami a frutta fresca e secca, a canditi, a fiori, a erbe, a spezie dolci. In bocca appare caldo e potente, di grande struttura e di ottima persistenza ma, a differenza di ciò che si potrebbe pensare, di una sorprendente agilità e finezza. È uno Champagne sì pensato pour la table ma che rapisce per la sua tagliente soavità e l’impressionante ed elegante scia minerale.

Ha chiuso la degustazione il Rosé des Riceys, annata 2019. «È un vino – dice Fabre – pieno di contraddizioni. Benché sia relativamente semplice da produrre, è però un vino di grande struttura». È adatto ad accompagnare grandi piatti di carne e di cacciagione e può tranquillamente attraversare gli anni, e i decenni, invecchiando con nonchalance. In effetti questo Rosé è una sorta di eredità storica che Les Riceys condivide con Marsannay (il comune più a Nord della Côte de Nuits, e l’unico dell’intera Côte d’Or autorizzato a vinificare rosé). È un vino che si può produrre solo su meno della metà dei vigneti di Les Riceys (su quei 350 ettari che sono considerati Grand Cru, sebbene formalmente non lo siano: a Les Riceys non esiste una classificazione delle vigne): quelli più pendenti e meglio esposti. Il Domaine Alexandre Bonnet, che produce poco più di tremila bottiglie all’anno di questa AOC, utilizza le uve della contrée La Fôret: una vigna con oltre cinquant’anni di età. Le uve, che vengono raccolte a mano, a perfetta maturazione, vengono macerate con grappolo intero, per tre giorni. Quindi passano in parte in legno di secondo passaggio e in parte in acciaio. Dopo nove mesi si procede all’assemblaggio e alla messa in bottiglia, ove il vino affina per almeno altri due anni.

Come detto poco sopra il Rosé des Riceys di rosato ha poco. Ma è un dizionario francese del 1680 a dare una possibile spiegazione del nome: «si dice ‘rosé’ un vino che ha il colore della rosa». Se il naso rapisce per la miriade di piccoli frutti rossi e neri (fragolina di bosco, mora, ribes, lampone…), l’arancia sanguinella, la viola, la rosa rossa, i sentori di pepe bianco e nero, i lievi tocchi balsamici, e poi in bocca che il vino sviluppa tutta la sua potente malia. Si avvertono in primo piano la freschezza del frutto e la soavità della struttura polialcolica, alla quale fanno da contraltare un tannino praticamente assente (sostituito da multiple sensazioni seriche) e una gradevole sensazione calorica. Il sorso procede spinto da poli opposti, fra forza e finezza, sostenuto da una mineralità (si percepisce una nota di carboncino) pulitissima. Lungo, elegante ed equilibrato, chiude con innumerevoli ritorni gusto-olfattivi. Sublime!

  • Domaine Alexandre Bonnet
  • Rue du Général de Gaulle, 138
  • Les Riceys
  • Francia
  • Tel. 0033.(0)3.25293093
  • www.alexandrebonnet.com
  • info@alexandrebonnet.com

I vini del Domaine Alexandre Bonnet sono importati in Italia:

  • Sarzi Amadè Srl
  • Via Nino Oxilia, 25
  • Milano
  • Tel. 02.26113396
  • www.sarziamade.it
  • info@sarziamade.com