CopertinaMadonninadelPescatore

– di Gianluca Montinaro

Poco più di vent’anni ha impiegato Marco Polo per compiere il suo viaggio in Estremo Oriente, alla corte del Gran Khan. Una bazzecola, una cosuccia da niente, in confronto all’assai più lungo viaggio che Moreno Cedroni sta compiendo con la sua Madonnina del Pescatore (Senigallia, An), che giusto quest’anno taglia il traguardo dei quattro decenni.

Moreno era, come Polo, poco più di un ragazzo quando intraprese, con coraggio, un pizzico d’incoscienza, il sostegno dei genitori e un po’ di fortuna (perché ci vuole anche quella!), l’avventura della sua vita: subentrare nella gestione di un anonimo ristorante-pizzeria. Un’avventura che l’avrebbe presto portato a riscuotere i primi apprezzamenti su una piazza non facile come Senigallia, a onorare le tante cambiali firmate, a passare dai tavoli della sala ai fuochi della cucina, a rilevare i muri del locale, a incontrare l’amore della sua vita – la dolce Mariella, entrata alla Madonnina come cameriera – e quindi via via ad affermarsi prima come giovane talento, quindi come promessa della Nuova Cucina Italiana e infine a essere riconosciuto come uno dei ‘maestri’ della scena odierna della nostra alta gastronomia.

In mezzo, in questi quarant’anni – come ancora per Polo –, tanta curiosità e altrettanta voglia di scoprire e di apprendere, senza mai adagiarsi nel facile, nel consolidato e nel noto. Ed ecco quindi i viaggi in giro per il mondo, dal Giappone alla Patagonia, dalla Malesia al Centro America, alla scoperta di ingredienti e materie prime, di tecniche e usi, di tradizioni e costumanze, da osservare e studiare, per poi magari farli propri. Ma Cedroni, a suo modo, è un intellettuale: non si è mai accontentato di ‘replicare’: ha sempre rielaborato, ridiscusso e rimesso al passo del nostro gusto tutto il suo bagaglio conoscenze. Sfuggendo il nozionismo (che purtroppo impera in cucina…) ha trasformato – giusto per citare un paio di esempi, i più noti – il sushi in susci e la tradizione norcina in ‘salumeria di pesce’, secondo un’idea di ‘cucina totale’ ove nulla, se non il piacere del palato, è immutabile ma tutto perfettibile.

Oggi, a sessant’anni appena compiuti, Moreno è un ‘giovane’ di olimpica sicurezza, lungimirante come pochi. Padrone della tecnica come nessuno. Capace di infondere nei suoi piatti tanta complessità quanta linearità gustativa. Sì perché sin dagli esordi le ricette di Cedroni non sono mai state né ‘essenziali’ né ‘minimali’: le componenti non sono certo poche, né parco è l’utilizzo di elementi che giungono da lontano e che concorrono a creare pietanze che possono, a uno sguardo superficiale, apparire fusion (addirittura c’è chi assurdamente le ha definite «melting pot», parola che significa «crogiuolo eterogeno»), ma che in realtà sono l’esatto opposto. Sono espressione ‘forte’ di una visione personale della cucina: articolata sì, ma perfettamente architettata. In questo senso Moreno Cedroni è tutt’altro che un ‘vacuo sognatore’. È piuttosto un cuoco, e un imprenditore (i suoi tre locali, e le oltre sessanta persone che lavorano per lui sono lì a dimostrarlo: chapeau!), capace di pensare in modo creativo ma concreto: di ideare con visionarietà e di pianificare con pazienza; di progettare con lungimiranza e di gestire con oculatezza.

Non appare quindi un caso che, in questo 2024 crocevia di date e di ricorrenze, il menu degustazione (offerto a 230 euro) della Madonnina del Pescatore sia ispirato al viaggio che Marco Polo racconta nel suo Milione. Un viaggio che, per Cedroni (ora coadiuvato ai fornelli da Luca Abbadir), diventa paradigma della sua cucina, e in fondo della sua stessa vita. Un viaggio che parte e ritorna nel medesimo luogo (Venezia per Polo, Marzocca di Senigallia per Cedroni) e che, snodandosi in luoghi e mondi lontanissimi, porta inevitabilmente a riflettere sui ‘nostri’ luoghi e sul ‘nostro’ mondo. Un viaggio che, alzando sul pennone più alto il vessillo del gusto, fa rotta al centro dell’equilibrio. Perché nulla nei piatti è troppo o troppo poco. Le cotture sono millimetriche. Le spezie sono dosate con maestria. E quelle insistite inflessioni ora tanto di moda (come l’acido e l’amaro) sono appena accennate. Insomma piatti che sono capolavori e che si dipanano, uno dopo l’altro, scandendo le tappe di Polo. Ci si imbarca quindi a Venezia, con in mano uno spritz (a base di Select, come tradizione marciana impone), una squisita cialda di farina di riso cosparsa di sesamo sulla quale è stata cotta (praticamente impressa), secondo una tecnica di street food orientale, una moeca, e un pan brioche ripieno di granchio blu. A Trebisonda si rimane conquistati dal sapore del waffle croccante di lenticchie e nocciola con uova di seppia cotte in acqua di vongole, salsa cocktail di gamberi e petali provenienti dall’«orto marino» (il piccolo orto impiantato sulla spiaggia, che ben si può vedere dalle vetrate, appena oltre la strada). E di Bagdad conquista il dialogo fra la dolcezza dei datteri e i toni iodati dei ricci (con umeboshi, tahina, grattugiata di limone e doppia panatura di pane panko). La golosa ostrica scottata sulla griglia ad Aleppo, insieme all’omonimo peperoncino (simile a un peperone crusco), con lime e cavolo viola, traghetta verso una Teheran voluttuosa, capace di intrecciare carne e pesce nella complessa e deliziosa ceviche di ricciola al profumo di bosco con tartufo, funghi enoki, funghi cardoncelli e pernice cotta shabu shabu, con appena un nonnulla di coriandolo (dosato in modo piacevolissimo: da manuale!).

Fra le pietanze principali colpiscono nel segno sia Balkh (Afghanistan): un sublime kebab di ventresca di tonno («assai grassa», come specifica Moreno) affumicata con melanzana, marmellata agrodolce di mango, maionese affumicata, salsa masala, yogurt e alloro. Sia Kashgar (Cina) con la sua «razza yin e yang» ovvero ali di razza cotta come una scaloppina con olio e prezzemolo accompagnata da arachidi e anacardi fritti e da due salse con caratteristiche assai differenti: una agrodolce satay e una verde a base di friggitelli, olio al basilico e kimchi.

Da mangiare e rimangiare per la sua sontuosa golosità è il ‘trittico’ dedicato all’anatra ‘alla pechinese’, che Cedroni interpreta in chiave marchigiana, ovvero con il piccione. Che viene prima spennellato con malto e orzo, quindi frollato per dodici giorni e infine cotto a 55 gradi (cottura al rosa sublime, senza una goccia di sangue e senza alcuna fastidiosa sensazione ematica). Viene, come l’anatra, servito già tagliato a fette e accompagnato da verdure crude, salsa hoisin e caviale (a donare un pizzico di sapidità). A fianco trionfa la sua coscetta ripiena di pancetta, grigliata e laccata con soia e miele. Con la carcassa si ottiene un brodo nel quale sono cotti dei fusilloni che sono poi spadellati con il cuore del volatile insieme a raguse, tofu alle mandorle e finocchietto.

Complesso è anche il capitolo dei dolci con – a svettare sugli altri – una cialda di meringa salata, con meringa al limone, spuma di yogurt e lamponi (freschi, in gelatina ed essiccati), e la torta di rose con gelato al topinambur e croccante alle mandorle.

Cosa sottolineare infine di questa grande maison se non il dolce sorriso di Mariella, padrona di casa impeccabile, l’esemplare servizio del vino, curato da Silvia Tassi e Mauro Scarponi, e l’encomiabile gestione della sala da parte di Paolo Rossi (non il calciatore, non il cantante, ma molto più e molto meglio!)?

  • Madonnina del Pescatore
  • Lungomare Italia, 11
  • Loc. Marzocca – Senigallia (An)
  • Tel. 071.698267
  • www.morenocedroni.it
  • info@morenocedroni.it
  • Turno di chiusura: mercoledì; giovedì
  • Ferie: da novembre a metà febbraio