– di Gianluca Montinaro

È un’emozione varcare il piccolo portone de L’Ambroisie, in un angolo della seicentesca Place des Vosges, a Parigi. È un’emozione perché questo locale è uno dei templi della cucina mondiale: e non solo perché è una delle insegne che da più tempo detengono le tre stelle Michelin (che qui brillano dal 1988: da trentasette anni ininterrottamente!) ma perché il cuoco – usiamo semplicemente questo termine, sapendo che qualsiasi termine usassimo sarebbe comunque una diminutio – che questo luogo ha creato – Bernard Pacaud – riassume in sé, al massimo grado, la storia della grande cucina francese del Novecento.

Non è una iperbole: è la semplice verità. Perché Bernard Pacaud (Rennes, 1947) è l’ultimo allievo diretto di due sommi maestri: Eugénie Brazier (1895-1977) e Claude Peyrot (1934-2023). Dalla decana della ristorazione francese (l’unica donna ad avere avuto, contemporaneamente, due insegne tre stelle Michelin), Pacaud ha appreso il rispetto per le materie prime e il senso del gusto. Mentre dal grande chef del parigino Vivarois ha assorbito il genio creativo – raffinato e rustico al contempo – e il senso di compiuta perfezione che distingueva i suoi piatti. E mettendoci poi tanto, tantissimo, del proprio immenso talento, Pacaud è stato capace di trasfigurare gli insegnamenti appresi in uno stile proprio: sontuoso e rarefatto, ricco e fine, pieno e sublime.

Accomodarsi in una delle piccole salette de L’Ambroisie è quindi – per un appassionato almeno – come avere il privilegio di accarezzare il marmo del David di Michelangelo o di sfiorare con la mano le sovrapposizioni dei colori a olio della Tempesta di Giorgione. Eppure, come solo accade nei veri grandi, eccelsi ristoranti, L’Ambroisie non è una cattedrale. L’atmosfera è bella, quasi ‘frizzante’. Il servizio è magnifico ed empatico (merito del direttore di sala Pascal Vetaux e della sorridente sommelier Marion, che se la cava anche molto bene con l’italiano…). L’accoglienza poi è da encomio: a fare gli onori di casa c’è difatti Danielle Pacaud, la moglie dello chef: una vita passata a fianco al marito, un amore sbocciato ai tempi di Vivarois. Entusiasmo ancora pieno, quello di Danielle, così come lo è il suo desiderio di trasmettere agli ospiti lo spirito del luogo, il senso di questa ultra quarantennale avventura, la passione per le cose belle, buone e, soprattutto, vere.

Già, la verità. Perché è la verità, e niente altro, a rendere dirimente un’esperienza a tavola. E verità è senso del gusto. E verità è rispetto degli ingredienti. E verità è attaccamento al proprio lavoro. Ecco, in questo senso L’Ambroisie è una cattedrale: un tempio di verità. Dal quale tutti coloro che di professione fanno i ristoratori e tutti coloro che con un pizzico di passione almeno si siedono a un tavolo possono trarre esempi da seguire e insegnamenti da applicare.

Ma… i piatti, come sono? Alla domanda si può rispondere con una sola parola. Il problema però è decidere quale. Squisiti? Perfetti? Sontuosi? Tutti e tre gli aggettivi calzano appieno alle cappesante con salsa mousseline al prezzemolo e salsa safrané (allo zafferano) piuttosto che ai fondi di carciofo al foie gras (pietanza con cui Pacaud omaggia Eugénie Brazier la quale annoverava proprio questa ricetta fra i suoi cavalli di battaglia). Come calzano appieno anche alla fricassea di astice in salsa civet e purée Saint Germain (ovvero con piselli verdi) e al carré d’agnello in crosta di pepe grigio nappato con il suo fondo. Come pure alla tarte fine sablé al cacao amaro con gelato alla vaniglia Bourbon e al biscuit tiepido al mandarino con il suo sorbetto (due fra i dolci che signature della casa).

Inutile fare una esegesi dei piatti: è grande cucina francese allo stato puro. Morbida, avvolgente, ricca. Gustosa, saporita, impeccabile. Elegante, equilibrata, leggiadra. Ma anche semplice, diretta, pulita. In una parola: ‘fondamentale’. Nel senso che è il ‘fondamento’ su cui si erge l’idea stessa di cucina, e con il quale – volenti o nolenti – tutti sono chiamati a confrontarsi. Perché è il precipitato di una storia secolare che dalle Tuileries è transitata per Versailles, raggiungendo quindi i celebri café della Belle Époque, per scoprire infine le grandi tradizioni regionali. Perché è la quintessenza di un’arte del gusto e di quel bien vivre che sono distintivi di questa grande nazione.

Che altro aggiungere se non che la cantina, seppur non vastissima (ce ne sono altre, a Parigi, più ricche), annovera molte preziose etichette delle zone vinicole più vocate di Francia? E che i prezzi – per cotanta cena – vanno di conseguenza. Si devono preventivare – non essendoci menu degustazione – almeno 500 euro a testa, stando molto attenti nella scelta del vino. Ma, una volta tanto (i latini dicevano semel in anno licet insanire), e per davvero, si può dire che l’esperienza non ha prezzo! Per un «ricordo – come saggiamente mi ha fatto notare un celebre ristoratore italiano che ben conosce la Francia – che ci si porta dietro per tutta la vita».

  • L’Ambroisie
  • Place des Vosges, 9
  • Parigi
  • Tel. 0033.(0)1.42785145
  • www.ambroisie-paris.com
  • Turno di chiusura: lunedì; domenica
  • Ferie: variabili